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Sulle
orme del passato
Archeologi italiani in Siria riscoprono l'antica Qatna. Fra i ritrovamenti,
un tappeto di impronte umane di tremilaottocento anni fa.
reportage di Carmen Covito
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Quando Howard Carter si trovò a dover raccontare il momento del
suo ingresso nella favolosa tomba di Tutankhamon, fu preso da un
attacco di pudore scientifico così violento che dalla penna gli
schizzò fuori una frase lapidaria e bugiarda: "Le emozioni non fanno
parte della ricerca archeologica".
Non è mai stato vero, ed è ancora più falso oggi, perché l'archeologia
moderna, quella che non va più a caccia di tesori da esporre ma
di esistenze umane da ricostruire dettaglio su dettaglio, è una
sorgente di emozioni fresche, anche per chi non scava ma sta solo
a guardare. Io, per esempio, mi sono innamorata di una città sepolta.
Da un anno sto facendo cose sceme come tenere sempre la sua fotografia
davanti, interrogandola con occhi sospirosi. Tra le fitte losanghe
di campi coltivati della Siria centrale, poco lontano da un'ansa
graziosa del fiume Oronte, l'antica Qatna giace quadrangolare nella
sua cinta di bastioni poderosi e sembra sventolarsi pigramente col
ventaglio di strade del villaggio moderno che le sta tutto sul fianco
sinistro, cioè, volevo dire sul fianco occidentale.
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È bellissima. Misteriosa. Antica di almeno sei millenni.
E finalmente oggi ha cominciato a rispondermi... No, non sono ammattita,
non del tutto: la città ha trovato un interprete, anzi due. |
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Daniele Morandi Bonacossi e Marta Luciani
sono rispettivamente il direttore e il vice-direttore della missione
archeologica dell'università di Udine che quest'anno ha intrapreso
la scoperta di Qatna. Giovani entrambi e terribilmente competenti,
mi sommergono volentieri di dati e sono pignolissimi nelle precisazioni:
devo scrivere che si tratta di una missione internazionale italo-siro-tedesca,
e che insieme a Morandi la dirigono Ammar Abdulrahman della Direzione
generale delle Antichità e dei Musei di Siria e Peter Pfälzner dell'università
di Tubinga, e che la partecipazione italiana è stata promossa inizialmente
da Frederick Mario Fales, attuale filologo della missione. Ok, l'ho
scritto. Ora possiamo parlare delle sensazionali impronte
di piedi umani che avete trovato nel... ? |
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Marta Luciani mi interrompe: "Forse vale la pena di sottolineare
che questo è il primo vero e proprio progetto di cooperazione internazionale
nell'archeologia della Siria: noi lavoriamo in maniera congiunta
e paritaria con i loro giovani studiosi e accanto agli obiettivi
scientifici abbiamo anche un compito di formazione. Vogliamo costituire
a Qatna una scuola di archeologia sul campo, per i nostri studenti
ma anche per i siriani". Splendido, ma le impronte? Eccole.
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Centinaia di passi di persone perfettamente impressi nel fango indurito
di una strada dell'età del Bronzo Medio: orme di uomini, donne,
bambini di tremilaottocento anni fa.
"Le abbiamo trovate sulla sommità dell'acropoli, sotto nove livelli
dell'età del Ferro" spiega Morandi. "Ritrovamenti del genere sono
rari, perché per conservare tracce simili ci vogliono condizioni
molto particolari e anche perché spesso non vengono riconosciute
durante lo scavo. Noi stessi abbiamo scavato per tutta una mattina
questo piano di calpestio senza poter capire cosa fossero le depressioni
che spolveravamo religiosamente: c'era il sole che batteva dall'alto,
condizione in cui tutte le ombre si annullano e non si vede nulla...
Poi siamo ritornati al pomeriggio a continuare a lavorare e con
la luce del sole radente improvvisamente si è materializzato davanti
ai nostri occhi uno stupefacente tappeto di impronte di piedi umani,
anzi, di suole di calzature. Questi amorrei del Bronzo Medio II,
diciottesimo-diciassettesimo secolo a.C., persone civilissime, camminavano
tutti quanti con le scarpe addosso."
Aperte o chiuse? "Non c'è dubbio che fossero sandali: in due coppie
di impronte, il piede scivolato in avanti ha impresso nella superficie
di fango la forma delle dita. Siamo perciò riusciti a ricostruire
anche il tipo di sandali: era una semplice suola di cuoio, liscia,
con un tacchetto alto un centimetro o un centimetro e mezzo, probabilmente
un sandalo chiuso al tallone e con fascette che bloccavano il piede
trasversalmente, come questi..." Saltano fuori libri su libri perché
io possa avere un'idea di come erano fatti i Birkenstock di Qatna:
quelli più simili, anche se posteriori di un migliaio di anni, si
vedono benissimo nei bassorilievi assiri di Khorsabad e nei dipinti
murali di Til Barsip.
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"Ma per noi la cosa interessante è che l'antropologo fisico potrà
ricostruire dalle impronte di questi sandali la statura e le proporzioni
e addirittura il sesso dei camminatori. Digitalizzando il rilievo
di tutta la superficie, cosa che stiamo già facendo, potremo poi
condurre una serie di indagini complete: ci sono dei programmi di
computer capaci di analizzare selettivamente le impronte che l'occhio
umano non riesce a distinguere, per esempio si può seguire il percorso
di un singolo paio di impronte, ricostruirne la camminata..." E
anche ottenere un'animazione da proiettare: in futuro, vedremo formarsi
su uno schermo, un passo dopo l'altro, la passeggiata di uomini
invisibili ma realmente vissuti. Il miracolo a Qatna però è doppio:
qui di pavimenti con impronte ce ne sono addirittura due, uno sull'altro. |
"Lo sappiamo già perché, facendo un sondaggio
stratigrafico in una fossa dell'età del Ferro che ha tagliato il pavimento
del Bronzo Medio ed è arrivata trenta centimetri più in basso, abbiamo
visto che anche sul piano pavimentale del Bronzo Antico troveremo
impronte di piedi." |
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Bronzo Antico vuol dire terzo millennio avanti
Cristo. A quell'epoca Qatna era già un grande nodo di comunicazioni
e un intreccio complesso di culture. Posta sulla frontiera tra il
deserto siriano e le fertili steppe che conducono verso il Mediterraneo,
diventò nel secondo millennio una città di 20.000 abitanti che eguagliava
per potenza e ricchezza la famosa Mari e intratteneva scambi di
lettere diplomatiche con la Mesopotamia assira e con l'Egitto. Nel
XIV secolo si trovò presa nelle lotte tra l'impero egiziano e gli
aggressivi Ittiti: abbiamo le affannose lettere scritte dal re Akizzi
di Qatna al faraone Akhenaton per rivendicare la propria fedeltà,
sparlare dei vicini traditori e supplicare aiuti contro Shuppiluliuma,
il re ittita che verso il 1350 piombò sulla città portandosi via
molti prigionieri e anche la statua d'oro del dio del re.
Probabilmente Akizzi nelle sue lamentele col
faraone ci marciava un pochino su questa storia dell'oro perduto
da rimpiazzare, ma non c'è dubbio che dopo l'arrivo degli Ittiti
la città decadde. Da queste prime indagini risulta che, dopo un
lungo intervallo di abbandono, fu rioccupata nel primo millennio
sotto forma di modesto villaggio. Poi fu definitivamente abbandonata
alle bestie selvatiche e al gran vento dell'ovest che, come allora,
oggi soffia sulle rovine.
L'ho sentito, quel vento. Nell'ottobre del
1998, impegnandomi sotto giuramento a non dirne una parola fino
a quando il progetto non fosse stato approvato e avviato, ho potuto
seguire gli archeologi italiani nella ricognizione del sito. Mentre
loro facevano le prime misurazioni con un aggeggio elettronico che
si chiama "stazione totale", io zampettavo in giro scimmiottando
la caratteristica postura da archeologo (naso puntato a terra) e
innamorandomi all'istante di Qatna. |
Dentro i bastioni, ancora alti
più di quindici metri, il mondo esterno non esiste più. |
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Incanalato tra le brecce delle quattro porte, il vento spazza un
paesaggio spettrale e illusionista: sopra i resti archeologici ci
sono in gran parte del sito gli scheletri di case che, fatte di
mattoni seccati al sole, possono sembrare antichissime e invece
non lo sono. Il grande spazio vuoto infatti nel 1870 fu occupato
da nuove costruzioni, abitate da una comunità di contadini musulmani
e cristiani. Nel 1924 per rintracciare i resti del palazzo reale
il conte-archeologo francese Robert du Mesnil du Buisson fece spostare
di peso una chiesa. Dieci anni fa, le autorità siriane hanno spostato
tutto il villaggio, trasferendo gli abitanti all'esterno dei bastioni.
Ma le vecchie casette abbandonate ci sono ancora e mostrano qua
e là un antico bacino di basalto nero, lastre riutilizzate, basamenti
di pietra. Sito difficilissimo da scavare, perciò.
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"Quando il conte terminò gli scavi nel '29, l'area del palazzo reale
non venne coperta e gli abitanti del villaggio vi si insediarono
di nuovo sopra" spiega Morandi con aria tra il divertito e lo scandalizzato.
"Il pavimento della sala del trono venne usato
come pavimento delle case moderne. I nostri scavi però mostrano
che, contrariamente alle ipotesi più pessimiste, la fabbrica palatina
del Bronzo Tardo è abbastanza ben conservata, tanto da poterne ricostruire
la planimetria. Abbiamo riportato alla luce un sistema di fondazioni
imponente, e si è scoperto che il palazzo è molto più grande di
quel che si sapeva. Inoltre, sotto questo palazzo, c'è il palazzo
del Bronzo Medio e, sotto ancora, c'è un edificio del Bronzo Antico
IV, ventiquattresimo secolo circa, dove si vedono le tracce di un
incendio: con un orizzonte di distruzione che è contemporaneo a
quello della distruzione del palazzo reale di Ebla."
Ecco, è stato fatto il nome fatidico: Ebla,
scavata per 35 anni dall'università di Roma, ha prodotto un enorme
archivio di testi cuneiformi e ha rivoluzionato molte delle nostre
nozioni sul Vicino Oriente. Qatna è, come superficie, grande il
doppio di Ebla.
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Si rivelerà importante almeno quanto Ebla?
I miei due archeologi mi guardano severamente: chiedo troppo. Non sono
abbastanza scientifica per i loro gusti. |
Non si sbilanciano neanche un po': riprendono a parlarmi di livelli
di stratificazione e di fasi di insediamento, dei lavori di geomorfologia
già cominciati per ricostruire le modificazioni del territorio operate
dall'uomo nei millenni, dei rilievi fotogrammetrici già fatti, degli
studi futuri di paleozoologia, paleobotanica e archeometria, e infine
del progetto di archeologia sperimentale che userà i resti del villaggio
moderno per studiare "dal vivo" i processi di decadimento del mattone
crudo...
Però, Qatna già solo in questi primi due mesi
e mezzo di scavo ha prodotto dei risultati emozionanti.
Per esempio una lente d'ingrandimento che è la più antica mai trovata,
e la scoperta di un complesso sistema
di drenaggio usato dai costruttori del palazzo reale per bonificarne
le fondamenta minacciate dall'acqua piovana.
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Ripercorro su una cartina i nuovi cantieri di scavo: una casa-bottega
con tracce di tessitura e di oreficeria nella città bassa, il piccolo
villaggio dell'età del Ferro che sostituì l'antica zona monumentale
sulla cima dell'acropoli, il palazzo con la sala del trono lunga
quaranta metri e l'anticamera che la separa dalla grande sala delle
Quattro Colonne...
Proprio in mezzo c'è uno spazio ancora intatto che, se io fossi
stata il re Akizzi o il suo predecessore Ishkhi Adad, avrei giudicato
perfetto per tenerci gli archivi diplomatici e magari le lettere
spedite a casa dalla principessa Beltum quando la mandarono in sposa
al re di Mari...
Non oso dirlo, per paura di essere fulminata sul posto dallo sdegno
scientifico dei miei interlocutori. I desideri non fanno parte della
ricerca archeologica, d'accordo. Però lì sotto un archivio può esserci,
e forse, chi lo sa, ce ne saranno addirittura due.
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Articolo pubblicato sulla rivista "Amica"
n°17 del 26 aprile 2000
Testo di Carmen Covito
Ringrazio la Missione Archeologica dell'Università
di Udine per l'utilizzo delle foto di scavo
Tutti i diritti riservati
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