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Sotto il segno della leggerezza

Si dice che quando cerchi qualcosa sul Web, finisci sempre per trovare qualcosa d'altro. Sarà vero, o non sarà anche questo un luogo comune da sfatare? Io non so se quando ho trovato Luisa Carrada stavo cercando proprio lei, ma trovandola ho trovato qualcosa che senza dubbio le appartiene, e appartiene anche a me: il piacere di una scrittura che pur costando fatica non ne produce.

Nel suo sito, Luisa spiega che "Tutto è nato con un messaggio nella mia casella di posta. Di messaggio in messaggio, è nata una conversazione telematica sulla scrittura, in cui la scrittrice di narrativa e la redattrice di impresa hanno scoperto di avere parecchio in comune". Io aggiungo che il mio primo messaggio era di complimenti e che la proposta iniziale di uno scambio di link si è trasformata subito in uno scambio di curiosità e poi in un'intervista a doppio specchio.


Il Mestiere Di Scrivere


- Luisa -


Vorrei chiederti subito come è avvenuto il tuo primo contatto con il Web. Perché il mio non è stato quel che si dice un colpo di fulmine. Oggi è facile innamorarsi di Internet: è bello, colorato, dinamico, pieno di altri link, cioè di avventure e di strade da percorrere. Nel lontano 1994 non era così. Era una cosa da "tecnici", tutta grigia, difficilissima da leggere. A me parve soprattutto una specie di biblioteca, solo più facile da raggiungere. Se mi avessero detto che dopo soli quattro anni avrei avuto anche io il mio sito, non ci avrei creduto. Insomma, lo vedevo come uno strumento di consultazione, non come un nuovo medium per comunicare. E tu?

- Carmen -


Io ci sono arrivata per vie traverse, cioè documentandomi per scrivere un romanzo "tradizionale": avevo dei personaggi di informatici e per renderli credibili dovevo necessariamente conoscere il loro gergo e la loro mentalità. Il romanzo poi finisce con un personaggio che cerca una soluzione ai suoi problemi di identità affacciandosi in rete proprio attraverso un sito web, e di là mi è venuta l'idea di costruirlo io un sito ... Era successo che, scrivendo il romanzo, mi ero immedesimata un po' troppo in quel personaggio (Lucia, la Dama del Computer) e avevo quasi contratto le sue stesse nevrosi. Perciò, a romanzo chiuso, la scelta di immedesimarmi fino in fondo, facendo io nella vita reale quello che lei fa nel romanzo, è stata anche una scelta terapeutica, del tipo "tocca il fondo e comincia a scavare"; ma questo in genere nelle interviste non lo dico, perché può sembrare una follia :-). Fatto sta che, per continuare con i paradossi, io tutta la documentazione per il romanzo l'ho fatta senza avere una connessione a Internet, servendomi di libri e di antologie di siti offline su Cd-rom, perché avevo paura di perdere tempo se invece di scrivere mi fossi messa a navigare. Insomma, sul Web ci sono arrivata solo mentre correggevo le bozze, nell'estate del 1997, e con lo scopo preciso di vedere "dal vero" se Internet funzionava come avevo immaginato. E ho constatato che era proprio così, le mie informazioni prese offline erano esatte... Comunque, non sottovaluterei la funzione della rete come strumento di consultazione: dopo che ho cominciato a frequentarla, me ne sono servita moltissimo proprio per cercare informazioni, e adoro questa megabiblioteca, cosa che anche tu, credo, condividi. Quando ho visitato il tuo sito ho trovato una miniera di informazioni utili per chi scrive sul Web ma ho trovato anche una storia personale molto interessante per chi, come me, crede nella possibilità di scavalcare il tradizionale fossato che separa la cultura umanistica da quella tecno-scientifica. In una delle tue pagine tu dici che ti eri sempre occupata di arte e letteratura. Com'è che sei arrivata a occuparti di telematica?

- Luisa -


Io ho una formazione umanistica e mi sono trovata a lavorare in un'azienda di informatica per puro caso, dall'oggi al domani. Un annuncio sul giornale, un colloquio andato a buon fine e la voglia di provarci. Mi sono quindi dovuta immergere in un mondo tutto nuovo, da conoscere e da scoprire. In realtà non vi ho trovato nulla di respingente. Anzi. Quello che mi ha affascinata da subito non è stata la tecnologia in sé, che tuttora mi interessa poco, ma quel che mi prometteva: un nuovo modo di scrivere, di studiare, di lavorare e di comunicare. Io venivo dalla radio, che nonostante l'apparente semplicità è uno strumento di comunicazione difficile, dove le parole sono la tua unica risorsa. Insomma, venivo da una buona palestra, che mi aveva costretta a riflettere molto sul rapporto tra medium e linguaggio. Dare una voce e uno stile di comunicazione a un'azienda mi è sembrato subito un compito arduo, che aveva però i suoi lati affascinanti. Internet ha fatto il resto, ovvero mi ha permesso quella felice ricomposizione tra le "due culture" cui sotto sotto aspiravo per sentirmi in pace con i miei studi, i miei interessi, il mio lavoro di tutti i giorni. Uno stato d'animo che credo condiviso da tutti gli "umanisti" che a un certo punto hanno incontrato sulla loro strada quel piacevole ostacolo chiamato computer. Anche per me Internet è la più affascinante e accessibile delle biblioteche. Prima di tutto mi è servita e mi serve per studiare. E la storia del mio sito rispecchia questa doppia faccia di Internet: biblioteca e strumento di comunicazione. All'inizio volevo soprattutto mettere a disposizione sulla rete i link scovati sulla scrittura professionale, niente più di una bibliografia insomma. Pian piano la voglia di comunicare e di sperimentare ha preso il sopravvento e mi sono messa a scrivere in prima persona. E tu, quando hai deciso di "buttarti" su Internet, come hai affrontato il problema del linguaggio? Sei stata consapevole da subito che si trattata di un mezzo completamente diverso da quelli tradizionali, pieno di vincoli ma anche di nuove libertà, che esigeva una scrittura nuova, tutta da inventare?

- Carmen -


Sì, lo sapevo, ma anche questo lo sapevo in modo teorico, perché mi ero documentata leggendo qualche saggio sull'argomento, in particolare "La vita sullo schermo" di Sherry Turkle che pur essendo di taglio antropologico fa capire bene quali sono i problemi di linguaggio. Quando ho deciso di farmi un sito mio, sono andata a vedere come erano fatti i siti degli altri scrittori, ed essenzialmente quelli degli scrittori americani, perché nel 1997 di italiani ce n'erano pochissimi (tutti uomini: Mario Biondi e poi un paio di autori o di fantascienza o di ipertesti). Non me ne è piaciuto nessuno, perciò ho analizzato una serie di siti non specificamente letterari, ho individuato quelle che secondo me erano le caratteristiche del mezzo (utilità sommata a un certo spirito ludico, ipertestualità nel senso di collegamenti a siti esterni, almeno qualche elemento di interattività) e mi sono inventata delle mie soluzioni. Per i testi ho scelto di usare un tono "leggero", semi-ironico, che d'altra parte corrisponde alla tonalità della mia scrittura letteraria. Alcune pagine dovevano essere necessariamente lunghe perché si trattava di testi letterari o saggistici, ma su quelle non mi sono posta nessun problema perché ho immaginato che i visitatori avrebbero fatto quello che faccio io in questi casi: stampare e leggere su carta con comodo. Tutte le altre pagine dovevano essere impaginate piacevolmente (con immagini non arbitrarie, non puramente decorative e soprattutto non "pesanti") e dovevano risultare di agevole lettura sullo schermo. Tutto il lavoro di costruzione del sito, però, mi avrebbe richiesto di inventarmi dal niente anche delle competenze tecniche che non avevo voglia di improvvisare, perciò ho cercato qualcuno che mi aiutasse senza prevaricare sulle mie scelte: mi è andata bene perché ho trovato subito Massimiliano Sanna, che è un giovane esperto accatiemmellista ma è di formazione umanistica e ha capito al volo che cosa volevo fare (dice che il mio è un sito punk...) .

- Luisa -


Mi colpisce che parli dello stile di scrittura per il Web, usando l'aggettivo "leggero". Anche per me la leggerezza è sempre un obiettivo quando scrivo per lo schermo. Leggerezza che definirei così: frasi brevi e scorrevoli, parole molto concrete e quotidiane, una dimensione un po' giocosa, titoli allegri e appena appena ambigui (non criptici!), che sanno di proverbi e filastrocche, il ricorso al "racconto" personale in qualche caso. Parole e frasi che vadano giù come un bicchiere di acqua fresca, insomma. Questo non vuol dire affatto che scrivo come parlo o che il mio modello sia la lingua parlata. Anzi, devo dire che avvicinarmi alla semplicità mi impegna molto, molto più che scrivere nel mio lavoro quotidiano in azienda, in cui posso adagiarmi in qualche comodo stereotipo o frase fatta. "Leggerezza" che non vuol dire nemmeno frivolezza: sono convinta che sul Web si possano trattare in modo più leggero, semplice e asciutto molti argomenti seri e anche serissimi. In ogni caso, molto più di quanto oggi non si faccia. Che ne pensi?

- Carmen -


Credo che la stessa cosa si possa fare anche in letteratura - voglio dire, in letteratura "cartacea" -. Sull'argomento "leggerezza" aveva già detto tutto Baldassar Castiglione all'inizio del Cinquecento: nel "Cortigiano" - che tra parentesi è ancora un perfetto manuale per giostrarsela bene nella nostra società dei simulacri - Castiglione spiegava che fare una cosa facendo finta che non ci costi niente è molto più difficile che esibire tutta la fatica che ci costa, ed è ovviamente molto più elegante. Per definire questa capacità di dissimulare tutto il lavoro che giace sotto l'apparente naturalezza di una danza leggiadra o di una scrittura brillante, lui aveva inventato un bel neologismo: "sprezzatura". E a me sembra che il Web sia il mezzo ideale per farci capire quanto sia necessario e utile applicare alle nostre fatiche un bel tocco di sprezzatura. Pagine apparentemente spensierate ma ricche di significati potrebbero proporsi, poi, per contagio, come un felice esempio per tutta la scrittura letteraria, che in Italia è spesso ancora molto "pesante" a causa di un equivoco di fondo: si pensa che "pesante" equivalga a "denso" e "interessante", mentre spesso equivale solo a "pretenzioso" e "noioso". Sei d'accordo? Sospetto di sì, visto che nel tuo sito insisti molto sulla necessità di trovare uno stile adeguato per ogni tipo di scrittura, compresa quella della posta elettronica. Pensi che le "scritture professionali" in Italia abbiano, in genere, bisogno di un editing forte?

- Luisa -


Dirò di più. Penso che nel migliore dei casi abbiano bisogno di vere e totali "riscritture". E' un'esperienza che ho fatto nella mia azienda, fatta prevalentemente di ingegneri, all'inizio molto sospettosi verso questa anomala figura professionale che prendeva i loro testi e li rivoltava come un calzino. Siccome tutti a scuola hanno imparato a scrivere, sono tutti convinti di saper scrivere benissimo un testo per una brochure, una presentazione, un sito Internet. E' solo dopo il mio impietoso e pesante lavoro di editing, corredato di spiegazioni, che in genere capiscono come il loro testo - dimezzato, depurato, spezzettato, rititolato - possa diventare leggero e piacevole come una farfalla. Il risultato è che oggi nessuno mi dà più un vero testo, pronto e confezionato. Tutti mi preparano una dettagliata scaletta con l'appunto "ora pensaci tu": è il riconoscimento del mio "mestiere" di scrittrice d'azienda, che ha una sua funzione e un suo spazio preciso. Ma torniamo a Internet e alla scrittura per il Web. Nel tuo sito "romanzesco" il colore è molto importante. E così anche il lettering, l'impaginazione, gli spazi liberi. E quella leggera e bellissima animazione sulla home page di parole che si specchiano e poi si sciolgono nell'acqua. Scrivere parole che si muovono, o parole rosse o gialle non è la stessa cosa che scrivere parole nere e immobili destinate a un foglio di carta bianca. Acquistano comunque un tono, una sfumatura espressiva diversa. Quando scrivi per il tuo sito, pensi già parole colorate? E non trovi che questa contaminazione parole/colore/spazio stia creando un linguaggio nuovo, che potrà essere anche più libero e più ricco?

- Carmen -


Una pagina web è una creatura intimamente multimediale, anche quando non vengano applicati suoni o musiche o filmati. Volendo dire cose seriose, potrei dare a questo linguaggio un bel pedigree rintracciando le sue filiazioni dalla poesia visiva, che ha tradizioni antichissime, ma non lo farò :-). Però mi sembra ovvio che pensare una pagina web o un intero sito vuol dire "immaginare" nel senso pieno del termine, cioè pensare *da subito* per immagini e non soltanto per parole. E, a proposito, quella graziosa applet Java con le parole che tremolano a specchio d'acqua non l'ho immaginata io, me l'ha proposta Massimiliano assieme ad altre ipotesi grafiche, e a me è piaciuta immediatamente: nella prima versione del sito era più grande, una vera e propria porta d'ingresso al sito (metaforica? "immergetevi in questo mare di parole?" sì, forse), mentre adesso è stata ridimensionata e non è più che un'allusione quasi sub-liminale (siamo alla versione 1.1 del sito, gli spazi sono stati redistribuiti), ma dato che continua a piacermi molto credo che me la terrò sempre, anche a costo di renderla microscopica in eventuali e future versioni 1.2, 1.3 eccetera. Chissà se arriverò alla 2.0...(*)
Quanto ai colori, è vero, sono importanti: nel mio sito l'accostamento tipico è tra il rosso e il giallo, in toni così accesi che all'inizio qualcuno mi ha detto, "ma visitandolo ci si abbronza!", il che mi ha fatto ridere perché era proprio l'effetto che speravo di ottenere. Volevo una radiazione calda, qualcosa di solare. Alcune pagine però sono a fondo bianco o al massimo bianco rigato, e sono quelle in cui la parola deve necessariamente prendersi tutto lo spazio che le serve. (**)

- Luisa -


L'ipertesto sovverte tutte le regole della lettura lineare e sequenziale. E questo ci va benissimo per tutti i materiali di consultazione. Ma pensi che sia davvero possibile applicare l'ipertesto alla narrativa? Conosci qualche esperimento convincente? Perché io non so se mi piacerebbe davvero di essere lasciata libera di "percorrere" a piacere un romanzo o un racconto, magari scegliere il finale. Il bello della lettura è proprio quello di seguire lo scrittore nel "suo" viaggio, nel "suo" percorso .....

- Carmen -


Infatti: hai centrato in pieno quello che è il problema fondamentale dell'ipertesto applicato alla letteratura. Ho visto qua e là qualche esperimento di "romanzo ipertestuale" e non mi convincono per niente: l'unico veramente sensato mi sembra Red Bricks, una specie di telenovela-feuilleton a più mani scritta da un gruppo di ragazzi di Bologna. Ma è un ipertesto per modo di dire: il percorso rimane sequenziale, nonostante ci siano alcune sottotrame e varie intelligenti possibilità di "uscire" dal testo principale (tipo: dal nome di un personaggio si va a una sua scheda personale o al riassunto delle puntate che lo riguardano; cliccando sul nome di un teatro si va alla locandina degli spettacoli, eccetera). Per avere un vero ipertesto narrativo, bisognerebbe che non ci fosse alcuna trama principale, ma una struttura ad albero in cui ogni ramo può portare a ulteriori biforcazioni: in teoria, niente deve essere preordinato dall'autore; in pratica, l'autore dovrebbe preordinare migliaia di percorsi. Non credo che, allo stato dell'arte, una cosa del genere sia fattibile. E in ogni caso potrebbe essere fatta non da un individuo, ma da un gruppo di autori (abbastanza numerosi, sospetto). Non escludo che si possa fare in futuro, ma sarebbe qualcosa di più simile a un'opera cinematografica che non a un'opera letteraria come siamo abituati a intenderla, e a me interesserebbe proprio come mi interessa un film: come un'arte diversa. A quel punto, il concetto stesso di "lettura" non avrebbe più lo stesso significato. Si leggerebbe un ipertesto come, appunto, si "legge" un film. Tutta un'altra storia.

- Luisa -


Al mio sito ho voluto dare il titolo il "Mestiere di scrivere" perché sono convinta che ci vuole "mestiere" per scrivere i tanti messaggi testuali che costellano la nostra vita di ogni giorno. Non parlo del grande slogan pubblicitario, ma delle istruzioni di un prodotto, di una lettera commerciale, dei testi di un sito web, di una brochure. Quando questi testi sono chiari, leggibili e piacevoli, abbiamo sicuramente qualche problema in meno. Tu hai scritto i testi per le confezioni di shampoo e balsami della Wella, e questo ha suscitato anche qualche ironica reazione. Ma non dovrebbe essere normale affidare questi testi a professionisti della scrittura e, perché no, proprio a una scrittrice?

- Carmen -


Guarda, quando ho scoperto il tuo sito mi sono detta: "evviva, allora non sono una pazza isolata e solitaria!". Per scrivere qualunque cosa ci vuole mestiere: anche, e soprattutto, la grande letteratura. Io faccio letteratura: non so se è grande, probabilmente non lo è. Però so quanto mi è costata in termini di vita e di apprendistato, e so che in ogni caso non è affatto vero che un giorno ti arriva l'ispirazione e diventi scrittore così, per miracolo divino o per assistenza delle Muse. Perfino Rimbaud aveva studiato, era giovanissimo e geniale ma non era certo un ingenuo. E se ci vuole mestiere anche per scrivere i grandi testi letterari, figuriamoci se non ce ne vuole per costruire un piccolo testo di comunicazione, dove non è in gioco l'espressione artistica. Non c'è niente di strano se qualcuno applica le proprie competenze linguistiche e stilistiche a un testo "di servizio", come può essere il manuale di istruzioni di un prodotto, o un sito web, o l'etichetta di uno shampoo: anzi dovrebbe essere la norma, e non sempre lo è. In giro si leggono cose scritte malissimo, senza capo né coda. Dunque, le mie etichette sono solo parzialmente una provocazione: penso proprio che bisognerebbe dare qualità e dignità alle scritture quotidiane, perché contrariamente a quel che si dice la nostra non è la civiltà dell'immagine, è ancora e comunque la civiltà della scrittura.


(*) Nota: Ci sono poi arrivata, alla versione 2.0, e poi anche alla 2.1, che è questa che state vedendo (2007). L'intervista con Luisa Carrada è stata realizzata nel 1998. Alcuni dei link esterni citati possono perciò non essere più attivi (ma per memoria storica preferisco non toglierli).

(**) I background, invece, sono rimasti fino al 2001 e poi sono stati eliminati tutti senza pietà.
Per chi volesse averne un'idea, è disponibile una breve storia del sito.

 



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