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Alla scoperta di Babilonia
Tra deserti e rovine,
sulle orme di Miss Bell
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La
lampada di Aladino che ho comprato nel suq degli argenti di Bagdad
non funziona: a strofinarla ancora un po' diventerà uno specchio,
ma non ne viene fuori nessun Genio disposto a soddisfare desideri.
Peccato, gli avrei chiesto di levarmi dalla mente lo scugnizzo magrissimo
che, nel tratto di strada tra l'Hotel Isthar e l'Hotel Palestine,
ha tentato di vendermi un pacchetto di malconce gomme da masticare:
ecco che siamo già tutti sul pullman governativo, in salvo,
però no, c'è un finestrino aperto, e lui prende la
mira e fionda il suo pacchetto dentro il pullman, addosso a me che,
raccolta la misera merce, gliela ributto giù dal finestrino,
perché, come si fa?, se do dei soldi a questo poi mi circonderanno
in dieci...
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Il
bambino recupera il pacchetto, alza la testa e lo rilancia dentro:
un tiro duro come una sentenza. Non mi difenderò cercando di
spiegargli che lui è soltanto uno del milione di bambini ridotti
alla miseria dalla guerra, dall'inflazione, dall'embargo dell'ONU
che blocca l'esportazione del petrolio iracheno, e che asciugare una
singola goccia non risolverebbe l'alluvione, e che per giunta io non
sono americana: ha comunque ragione lui a sentirmi nemica. |
Di conseguenza, non mi godo per niente i novanta chilometri di palme
spettinate che fanno ciondolare grappoloni di datteri giù
tra l'Eufrate e il Tigri, né mi allieta poi molto lo spettacolo
delle delegazioni multicolori che stanno preparandosi a sfilare
tra le rovine della favolosa Babele in un tramonto adeguatamente
onirico: eppure sono qui per questo, per assistere con una dozzina
di altri osservatori italiani al Festival Internazionale di Babilonia,
o perlomeno alla sua serata inaugurale.
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Poi
taglierò la corda, perché è vero che per gli
iracheni questo festival di musiche e di danze è oggi l'unica
possibilità di scambio culturale con il resto del mondo,
ma per me è un'occasione colta al volo per visitare il paese
dei Sumeri, delle Mille e Una Notte e di Gertrude Bell, la più
romantica delle zitelle inglesi avventuriere.
Orientalista, archeologa e autrice di gran libri di viaggio,
Miss Bell era il tipo di donna che all'inizio del secolo girava
per deserti e per steppe chiacchierando a tu per tu con sceicchi
sbalorditi e meritandosi il titolo di "uomo onorario".
Dal
1917, quando si stabilì a Bagdad come ufficiale dell'Esercito
inglese occupando il Segretariato per l'Oriente e diventando la
massima autorità in fatto di politica locale, tutti cominciarono
a chiamarla semplicemente "Khatun", cioè "La Signora" per
eccellenza.
Lawrence d'Arabia dipendeva da lei per le informazioni militari
sulla Mesopotamia, e nel 1921 fu lei che rese possibile la nascita
dell'Iraq come stato indipendente all'interno del Mandato Britannico,
sostenendo e consigliando il suo primo re, l'hashemita Feisal. |
Contemporaneamente, la Khatun diventava il primo Direttore delle
Antichità dell'Iraq e nel 1923 fondava a Bagdad il primo
museo archeologico del Medio Oriente. |
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Max Mallowan (archeologo famoso più per essere stato il marito
di Agatha Christie che per i suoi pur importanti scavi) era ancora
un giovane apprendista quando, come scrive nelle sue memorie, assistette
a un epico scontro sulla divisione dei reperti tra Miss Bell e Leonard
Woolley, scopritore delle Tombe Reali di Ur e rappresentante del British
Museum: "La divisione doveva avvenire su una base del cinquanta per
cento, ma nemmeno una tigre avrebbe difeso meglio i diritti dell'Iraq.
A quel tempo Miss Bell aveva 57 anni ed era ancora una donna di eccezionale
energia. Ricordo fin troppo bene una gita a Eridu con lei: per quanto
fosse una giornata caldissima, nessuno degli uomini osava essere il
primo a suggerire che la signora la smettesse di gironzolare qua e
là in mezzo alla polvere e comandasse una sosta per il pranzo".
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Però
intanto, lasciata la ricostruzione della Porta di Ishtar tutta a
mattonelline azzurre decorate a leoni e a chimere smaltate, mi lascio
trasportare dal corteo delle delegazioni fino al teatro greco di
Babilonia, dove un musical storico-politico sta inaugurando il Festival.
Saddam Hussein ci tiene a rivendicare la tradizione culturale della
sua terra: |
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ecco
sul palcoscenico i Sumeri che inventano la scrittura e le città,
poi salta fuori Sargon di Akkad, lo seguono gli imperi babilonese,
assiro e neo-babilonese danzando in eleganti coreografie, interrotte
da siparietti in cui Isthar, la dea Inanna dei Sumeri, scende graziosamente
a benedire il potente di turno e a fare sfoggio di costumi sfarzosi
e sempre più succinti.Giusta
interpretazione: Isthar/Inanna è una dea dell'amore. Per
i popoli della Mesopotamia era, allo stesso tempo, anche la dea
della guerra: ed anche questo è giusto, poiché l'amore
ferisce, e a volte uccide. Improbabile però che Gertrude
Bell abbia ingoiato tutti quei barbiturici per un semplice amore
andato a male. Nel 1926 era del tutto sola, ma il vero dramma umano,
per lei che aveva orientato i destini politici di una nazione, sarà
stato venire accantonata e ritrovarsi a dirigere solamente un museo.
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Che
se ne faceva dell'amore, una che aveva avuto il potere? E adesso
questo musical come finirà? Sospetto con disagio che, sciorinate
le glorie del passato, si arrivi al panegirico del dittatore in
carica... No, ho sospettato a torto. Attori e danzatori, tutti al
proscenio, cantano un orecchiabile motivo che fa "Bagdad, Bagdad"
ma potrebbe benissimo fare "New York, New York". Sono sofisticati,
gli iracheni. |
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Kassem
Bayakli, un regista-antropologo-scrittore che abitualmente vive a
Firenze, il giorno dopo mi racconterà di aver tradotto e pubblicato
in Iraq Pirandello, Pasolini e le commedie di Dario Fo, nonostante
l'embargo che rende problematico stampare libri nuovi e del tutto
impossibile importarne. |
In
effetti, la sola cartina di Bagdad che qui si trova in vendita ha
ventisette anni e li dimostra tutti: indica ponti che si sono spostati,
edifici distrutti dai bombardamenti, ambasciate ormai chiuse, e mette
un parco dove ora si innalza un gigantesco Monumento ai Caduti che
raffigura uno scudo spezzato e che, in realtà, assomiglia preciso
a un'astronave di "Guerre Stellari". |
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Poco
distante, quattro enormi scimitarre disegnano nell'aria due minacciosi
archi trionfali per segnare il percorso delle parate dell'esercito.
In ogni piazza o bivio sosta una camionetta con soldati in verde
oliva, armati di pesanti mitragliatori neri. Ma spesso stanno a
guardia di sculture poco preoccupanti: in una piazza c'è
Sheherazade che racconta le fiabe al sultano, in un'altra si vede
la governante di Ali Baba che versa olio di bronzo nelle quaranta
giare dei quaranta ladroni. |
In
un rondò del centro, il vecchio re Feisal sorveglia il traffico
dall'alto di un cavallo, e sembra un po' seccato di essere stato talmente
rimosso dalla memoria storica dell'Iraq che la guida turistica ufficiale
elenca tutti gli altri monumenti di Bagdad tranne il suo. Il perché
si intuisce. La monarchia voluta dagli inglesi, rovesciata da un colpo
di stato nel 1958 e sostituita dieci anni dopo dalla repubblica socialista
di Saddam Hussein, è un episodio di interferenza negli affari
interni che per gli iracheni di oggi, ancora sottoposti alle incursioni
di aerei americani nella "zona di non sorvolo" a nord del 36° parallelo
e a sud del 33°, deve avere un sapore di attualità sgradevole.
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Semiricostruita
dopo il bombardamento del 1991, Bagdad è tutta palazzoni
moderni oppure grattacieli rabberciati degli anni Settanta come
l'Hotel Rashid, quello famoso perché Peter Arnett della CNN
ci faceva la cronaca di guerra contemplando la Madre di Tutte le
Battaglie dalla finestra della sua suite (settimo piano, vista panoramica
sui giardini Zawra e la Torre Saddam). |
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Resta
poco della Bagdad esotica vissuta da Miss Bell. A guardar bene per
le strade del centro, tra le facciate nuove spunta qua e là
uno spiazzo con un villino liberty, e la via porticata che conduce
al Palazzo dei re Abassidi è rimasta com'era nella fotografie
dei primi del Novecento, piena di bottegucce sotto i portici: ma
se ti scappa l'occhio più su dell'architrave, ecco che vedi
case sventrate, o già rifatte e appoggiate con grossi putrelloni
sulle colonne antiche. |
Girando
attorno a Feisal e attraversando il Tigri, si arriva nella piazza
del Museo dell'Iraq. Il palazzo, vastissimo, non è più
quello che la Khatun volle energicamente nel 1923 spezzando l'abitudine
già quasi secolare degli archeologi di portarsi via, al British
Museum o al Louvre o ai musei di Berlino o di Istambul, tutto ciò
che trovavano negli scavi. |
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Lei
aveva cominciato con uno scaffaletto in una stanza del palazzo del
governo, poi comprò una palazzina di mattoni gialli in Ma'moun
Street e la riempì di vasi, bassorilievi, avori e tavolette
di testi in cuneiforme (la palazzina gialla c'è ancora, però
alberga un tenero museo del bel tempo che fu, il Museo di Bagdad,
pieno di baffuti sceicchi di cera, di baffuti danzatori di cera e
di un incredibile caffè con un centinaio di baffuti avventori
di cera). Il Museo Archeologico attuale è stato costruito nel
1966, ed è chiuso da otto anni. |
Tutti
gli oggetti sono imballati e custoditi nei sotterranei, a parte
pochi, splendidi bassorilievi assiri esposti come esempio. Attraversando
una sala in penombra, quasi inciampiamo in una grande testa segata
in cinque pezzi: "Viene da Khorsabad", spiega la funzionaria che
accompagna il mio sparuto gruppo, "la polizia è riuscita
a recuperarla prima che prendesse la strada del mercato clandestino
internazionale, come tante altre cose. Un brutto sottoprodotto dell'embargo:
la fierezza dei nostri contadini per i nostri novemila anni di storia
sta cedendo alla tentazione di ricavare cibo dai reperti sparsi
nelle campagne, e, sì, ci sono stati furti perfino nei musei
provinciali, che sono molto meno sorvegliabili di questo". |
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Infatti:
già da tre anni John Malcolm Russell dell'Archeological Institute
of America lancia allarmi tramite Internet sulla distruzione dei bassorilievi
del palazzo di Sennacherib a Ninive e tiene d'occhio il mercato antiquario
americano (e io rifletto che un difensore del patrimonio archeologico
acceso come lui può capire benissimo come doveva sentirsi sui
carboni ardenti la Khatun, britannica fino alle sottovesti e colonialista
certamente fino all'osso, eppure pronta a fare fuoco e fiamme per
far restare i tesori dell'Iraq dove dovevano restare: qui). Prima
di andare a Ninive per constatare i buchi di Sennacherib, mi infiltro
in un convegno di archeologi presieduto dal Ministro della Cultura
e dell'Informazione, placco due eminentissime archeologhe italiane
e riesco così a farmi presentare al più recente successore
di Miss Bell. Il dottor Al-Qaissi Rabyah, Direttore Generale alle
Antichità e al Patrimonio, è fresco di nomina e ottimista:
"Per i musei locali a rischio, stiamo sostituendo i pezzi originali
con delle copie. |
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Qui
ci auguriamo di poter riaprire tutte le sale nel giro di sei-sette
mesi. Non si tratta solo delle esposizioni: abbiamo una biblioteca
importantissima per gli studiosi, che da anni non possono più
accedervi..." Domando se, magari, ha bisogno di qualcosa, e immediatamente
mi rendo conto di aver detto un'idiozia. A questi manca tutto: le
automobili per gli ispettori che devono proteggere i siti esposti
ai furti, il materiale tecnico e fotografico, le attrezzature per
la biblioteca, i condizionatori indispensabili per conservare i reperti,
perfino le vetrine, qualche risma di carta, le penne. |
Ma in un paese al quale mancano anche le medicine per curare i bambini,
nessuno perde tempo a lamentarsi per la mancanza di una fotocopiatrice,
e il Direttore infatti non si lamenta. Spera di farcela, lui, con
quel niente che ha.(*)
Me ne
vado chiedendomi dove saranno mai tutte le armi ultramoderne
che gli iracheni sono accusati di avere. Fuori città,
fino a Ukhaidir a Ovest, fino a Mosul a Nord, fino a Kirkurk
a Est (verso Sud, verso Ur e lo Shatt-el-Arab, non mi hanno
lasciata andare perché due giorni prima un giornalista
svizzero ci era stato ferito da un aereo in vena di mitragliamenti),
non ho visto che carri armati alquanto rugginosi e contraeree
un po' patetiche. In quantità vertiginose, certo. In
una successione ininterrotta, sì. Appena si esce dai
centri abitati, ecco il filo spinato, le caserme, l'incubo
militare che rovina ogni sogno di deserti romantici.
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Perciò,
tornata a Bagdad, vado a cercare il vecchio cimitero degli inglesi.
Sta nel quartiere Wasirya, che al tempo di Miss Bell era campagna:
lei fu sepolta lì, con una cerimonia solenne e militare. Vorrei
dire a Gertrude che, per quanto simpatica mi stia la sua forte ambizione
di "essere una persona importante", forse nel perseguirla commise
un errore, uno solo ma grave. Infatti toccò a lei, nel 1918,
disegnare su una carta geografica i confini del nuovo stato, e lei
li disegnò, scrivendo poi a suo padre di essersi "sentita come
il Creatore a metà dei Sette Giorni. Secondo me si chiedeva
anche lui come sarebbe andata a finire". |
Qui
è finita malissimo: prima un conflitto di otto anni per il
confine con l'Iran, poi la Guerra del Golfo per il confine con il
Kuwait. "Ma davvero non era prevedibile?" vorrei dire alla tomba
di Gertrude, "O di fronte al miraggio del petrolio del Sud la tua
parte britannica ha preso il sopravvento sul ruolo di Khatun degli
iracheni?". |
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Il
cimitero degli inglesi è intatto, è verde di alberi,
ma è saldamente chiuso da un recinto di sbarre. A scavalcare
la cancellata non ci provo neanche. Perché così va
bene, così tutto ha più senso: io cercavo una tomba
e ho trovato una metafora. Addio, Miss Bell, il tuo ambiguo entusiasmo
per la Mesopotamia è un capitolo chiuso come il tuo cimitero,
e sarebbe superfluo rinfacciarti le colpe del tuo tempo: riposa
in pace almeno tu, che puoi.
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articolo pubblicato su "Amica" n.48, 24
novembre 1999
testo di Carmen Covito
foto di Carmen Covito e di Elsa Mezzano
Tutti i diritti riservati
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(*) Nota: Il Museo Archeologico Nazionale Iracheno fu effettivamente riaperto, nell'aprile del 2000.
Per gli eventi successivi, vedi Frederick Mario Fales, Saccheggio in Mesopotamia.
Il Museo di Baghdad dalla nascita dell'Iraq a oggi, Forum Editrice, Udine 2004 |
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