Agli occhi dei vicini di casa, la giornata normale
di Camilla Cambise si presenta grossomodo così: alle nove e cinque
le persiane elettrificate del suo appartamentino, terzo piano, si sollevano
l'una dopo l'altra (sono due in tutto: camera e soggiorno, poiché
le finestrelle di bagnetto e cucina affacciano all'interno di un cavedio,
invisibili), e per mezz'ora circa un rivoletto di musica rock ruscella
giù in cortile (Radio Eurasia Tostissima, hai capito la vecchia?
ha gusti musicali che non c'entrano niente con la sua età, però
bisogna ammettere che il volume è discretamente basso). Verso le
nove e mezzo, nove e quaranta, che piova o ci sia il sole, la Cambise
viene fuori dal portoncino della scala B, attraversa il cortile e va,
modestamente ma impeccabilmente vestita con abitini a fiori o in un austero
cappottino nero a seconda delle stagioni in corso, a comprare i giornali
e a leggerseli al bar (il Bar Ciro, di solito: ma il martedì, che
è il giorno di chiusura del Ciro, si sposta al Gran Caffè
Roxane, un po' più caro). Prima della pensione, la Cambise avrà
fatto probabilmente la professoressa, o forse lavorava in banca, chi lo
sa, ma in ogni caso dev'essere stata un tipo di concetto, se no non sprecherebbe
tanti soldi in giornali, no?, e non sarebbe divorziata o vedova o zitella
o comunque così del tutto abbandonata da poter consumare mattine
intere sempre e solo al bar, dove centellina un unico caffè e un
bicchierone d'acqua naturale. Di tanto in tanto capita che sollevi gli
occhiali da lettura fin sui capelli (grigi e tagliati maluccio) per guardarsi
un po' attorno e indirizzare un cenno di riconoscimento alle solite facce
del quartiere, però nessuno la disturba mai. Alle dodici e dieci
minuto più minuto meno, quando le cameriere si preparano per i
panini caldi degli impiegati in pausa, la Cambise lascia cortesemente
libero il tavolino, poi la si vede fare una puntata o alla Esselunga o
al take-away cinese o, più frequentemente, alla salumeria-rosticceria
"Il Pollo d'Oro", che in caso di bisogno può effettuare consegne
a domicilio. Con i suoi pacchettini della spesa, eccola quindi ritornare
a casa e, salvo che non prenda verso le diciassette il tram che porta
in centro (va al cinema? a teatro? ad ascoltare qualche conferenza? fatto
sta che esce al massimo due volte a settimana), nessuno la vedrà
riattraversare il cortile o affacciarsi o riemergere in alcun modo dal
suo bilocale fino alle nove e cinque del giorno successivo: gli unici
segni della sua esistenza sono nel pomeriggio occasionali attacchi di
musica, ridotta prontamente a un volume più basso, l'accensione
di una luce al crepuscolo, poi, mentre la serata scivola nella notte e
sul cortile scende un silenzio opaco, dalle tende ben chiuse del suo soggiorno
può scoppiettare fuori la stranezza di qualche risatina. Che cosa
avrà da ridacchiare tutta da sola, quella? Va bene che dalla sua
finestra, fino a quando, verso le tre di notte, il fruscio fastidioso
del motorino elettrico segnala la chiusura delle persiane, si può
veder filtrare l'azzurrità di un video: però, da ormai sei
mesi, o forse sette, più nessuno ha sentito provenire da quell'appartamento,
neanche a volume minimo, nessun audio di film né di programma televisivo
alcuno. La Camilla Cambise avrà voluto immergersi fino in fondo
nel ruolo di condomina perfetta e passerà le sere con una cuffia
stereo sulle orecchie?
Sì, è così. O quasi. Da sei
mesi Camilla sta facendo un videogioco, e lo fa con la cuffia sulle orecchie,
perché all'inizio aveva un po' vergogna. Tutti quei rumorini sintetizzati,
i cinguettii, gli urletti, e soprattutto i tuoni! La fanno sussultare
ancora adesso, perché arrivano sempre all'improvviso, e Camilla
ridacchia e scosta di un millimetro la cuffia dalle orecchie, scuotendo
leggermente la testa. Aveva cominciato, su consiglio del medico, con uno
sparatutto per playstation. Sembrava infatti che quei movimenti rapidi
delle dita e del polso sul joystick fossero un toccasana per riallenare
i riflessi e ritardare la sclerosi: però si era sentita molto a
disagio a stare lì a far fuoco a ogni minimo guizzo sullo schermo.
Una volta capito il meccanismo, non c'era gioco. E inoltre, in quarant'anni
di onorato servizio nei Fucilieri Speciali Antirabbia e nonostante le
sue ben tre medaglie d'oro ai campionati interforze per Tiratori Scelti,
Camilla non ha mai trovato divertente uccidere. Tutte quelle povere volpi,
tutti quei cani con le fauci schiumanti e gli occhi tristi, e, al tempo
della Grande Epidemia, tutti quei ragazzini e le ragazze urlanti... Dopo
i primi due casi di studenti rabbiosi, Camilla si era chiesta perché
mai il suo Comando non avesse cambiato le normali pallottole con qualche
cosa di meno letale, e al terzo si era spinta ad avanzare formalmente
l'istanza di rimettere in uso le siringhe di sonnifero già avute
in dotazione quando si era trattato di un prezioso elefante dello zoo,
ma dalle vie gerarchiche le era disceso l'ordine di fare meno storie e,
confidenzialmente, le era stato spiegato che ogni dimostrazione di sensibilità,
per quanto umanamente comprensibile, sarebbe stata pericolosissima: avevano
a che fare con un ceppo di Rabbia Politica terribilmente contagioso, irrimediabilmente
virulento, inguaribile. Abbattere ogni capo infetto era un'odiosa necessità,
tesa a salvaguardare la parte ancora sana del Paese. Fu dunque con un
senso di dovere ben riposto che Camilla operò anche in quella campagna,
ma negli anni seguenti, a mano a mano che si avvicinava all'età
pensionabile, qualche traccia di dubbio cominciò a riaffiorare
e, se non arrivò a farle mai tremare veramente la mano sul grilletto,
qualche volta inquinò la precisione della sua mira fino a lasciar
scappare una o due volpi con la pelliccia appena un po' strinata. Perciò,
Camilla non può divertirsi a far fuori a mitraglia alieni e mostri:
le riesce troppo facile e, sfortunatamente, la porta a risentirsi giovane.
Al negozio dove tornò nella speranza di cambiare il gioco con un altro, un commesso cortese la informò che, avendolo comprato, le toccava tenerselo: ma perché non pensare a un piccolo investimento supplementare e allargarsi alla gamma dei giochi per PC? Con una buona macchina, il nipotino avrebbe anche imparato ad andare oltre i giochi. Camilla, nipotina di se stessa, ridacchiò ma cedette. E non se ne è pentita: installato il computer, sbirciata qualche demo, si è subito imbattuta in questo gioco di simulazione che, da sei mesi, la sta coinvolgendo piacevolmente. È intitolato "Se fossi Dio" e consiste nella creazione di un intero mondo. Non molto grande, per la verità: il pianeta ha soltanto un paio di continenti un po' sperduti nell'Oceano Totale, poco più grossi di un grosso isolotto. Ma a lei bastano. C'è tanto da fare!
All'inizio, incantata dalla bellezza dei paesaggi
nudi, Camilla procedeva lentamente: cieli altissimi senza ombra di nuvole
si andavano iridando dei riflessi rossi e gialli proiettati dalle terre
deserte, rispecchiavano l'azzurro profondissimo delle acque senza vita.
Lei guardava, ammirando l'abilità dei grafici e prendendo possesso:
le piaceva quel mondo di poligoni che, combinati in fini tessiture, generavano
forme cristalline e tridimensionali. E non le dispiaceva che gli unici
rumori fossero un dolce sibilo di vento e il ciclico respiro delle maree.
Fu quasi controvoglia che iniziò a raggruppare qualche macromolecola,
ma, si sa, poi le cose ti prendono la mano e dalle proteine si fa presto
a arrivare ai protozoi. Senza nemmeno rendersene conto, si era trovata
piena di dinosauri, e già qualche mammifero sgattaiolava in giro
nascondendosi nei cespugli. Ora di darsi una regolata e cominciare a giocare
sul serio.
"Se fossi Dio", che nelle versioni più diffuse
può intitolarsi "Popoulous" o anche "Civilization", e che sostanzialmente
non è un gioco diverso dal ben noto "Sim City", ha il semplice
obiettivo di creare dal niente una simulazione di umanità migliore:
equilibrata, stabile, armoniosa, possibilmente giusta. In sei mesi Camilla
ha già ottenuto qualche risultato interessante sul suo continente
maggiore, che per un certo gusto di autoflagellazione ha chiamato Volpizia:
gli esseri umani qui sono passati in fretta oltre la fase delle guerre
tribali e stanno sviluppando una buona tendenza alla cooperazione. Hanno
federazioni di città, scuole, teatri, ospedali efficienti, splendidi
parchi pubblici popolati di deliziose volpi sia rosse sia argentate. Ogni
tanto qualcuno dei cittadini muore ancora di rabbia, ma solo per ragioni
che Camilla trova graziosamente infantili: un individuo per esempio è
morto perché gli altri non gli hanno lasciato decorare la Mensa
Collettiva con il poema spray da lui composto (e che in realtà
non era tanto brutto). Invece a Distopia, il continente piccolo dove Camilla
ha in corso gli esperimenti più audaci per lei, le due popolazioni
adiacenti ma rigorosamente separate di Ermafroditi e Amazzoni vanno così
d'accordo che hanno inventato per conto proprio le Olimpiadi Sessuali
Distopiche, un fantasioso rito sportivo che prevede l'incontro periodico
e pacifico di tutti gli individui adulti, e che strappa a Camilla le risatine
più convulse. In materia di sesso non ha molta esperienza: quando
si è Tiratrici Scelte, avere relazioni personali può riuscire
difficile, perché gli uomini o sono già scappati o stanno
certamente mirando ad altro, e lei infatti da anziana, di no in no, si
è ritrovata sola, saggia e amara, cioè nelle condizioni
veramente ideali per recitare la parte di Dio. Volpizia e Distopia sono
la sua vendetta quotidiana, la sua curiosità trainante, il suo
elisir di vita piena. Tanto più che, due volte a settimana, Camilla
ha cominciato a frequentare le riunioni di un gruppo di appassionati che,
con i loro diari di creazione sottobraccio, si radunano al Centro Sociale
Pox per confrontare i rispettivi mondi. Ognuno, come lei, studia con cura
tutte le mattine le notizie economiche e politiche per ricavarne alcuni
principi generali e applicare ai suoi popoli l'opposto. Come lei, ognuno
sa che la simulazione non è niente di più che un gioco ozioso,
eppure si accalorano, discutono, manifestano i sintomi di una Rabbia Politica
attenuata e confusa ma non morta. Camilla è felicissima di aver
scoperto in tempo "Se fossi Dio". In mancanza di questo antidoto potente,
tipi come il signor Esposito, ingegnere disoccupato, o come lo studente
fuori corso e quarantatreenne Emilio Zork o come, be', praticamente tutti
i suoi amici del piccolo gruppo, si sarebbero già affacciati un
giorno a una finestra per mettersi di punto in bianco a sparare nel mucchio
dei vicini di casa. E nessuno di loro avrebbe fatto un centro. Ma lei
sì.
Racconto pubblicato su "Il Corriere della Sera",
29 agosto 1999
Tutti i diritti riservati
Incluso nell'e-book "Racconti
dal Web" (2001)
Mappa del sito |
|
|||||||
|