di CARMEN COVITO
Sto sbirciando attraverso un buco nella siepe. Mica facile, con questi
rametti che tendono a scattare in fuori stile filo spinato mirando agli
occhi. Potatura malfatta. Il problema più serio, le ginocchia, comunque
si è risolto: non me le sento più da una mezz'ora. Bene. L'insensibilità
mi aiuta a concentrarmi sulla casa. Villetta, dovrei dire. È esattamente
quel tipo di ciarpame residenziale che i geometri definiscono «villetta»:
due piani fuori terra più garage seminterrato e, certamente, tavernetta
attigua. Nel giardino, betulle. Ma la colpa non è di Lisa. Lei non è responsabile
dei faretti sul prato e dell'antenna satellitare spadellata sul tetto
a... Finalmente! Eccola. Si è aperto il portoncino blindato e lei è lì,
qui, a tre metri da me che mi emoziono e perdo l'equilibrio e mi spino
la faccia e... C'è mancato poco. Scricchiolio di rotule come una fucilata
nel silenzio. Ma lei non se n'è accorta. Guarda la Luna, lei. Forza, bella,
avvicinati ancora un po', abbassa qella dolce testolina, sì, così, vieni,
altri due passi, ma, insomma! dài, come fai a non notare niente? Proprio
lì, tra Dotto e Mammolo, dove dovrebbe starci Pisolo, non la vedi la terra
che è scavata di fresco, tutta nera? L'ha vista. Ha già raccolto il volantino.
Lo sta orientando verso la luce di un faretto. «Comitato di Liberazione
dei Nani da Giardino» è scritto in grosso, quindi dovrei vedere subito
una reazione, a meno che questa ragazza sia venuta su talmente male che...
Sta ridendo! Sia ringraziato il cielo, sta ridendo. Mi sento meglio. Il
nodo di apprensione che cominciava a spremermi un filo fastidioso di acidità
su per la gola adesso si è allentato. Peperoni al cumino. Con un angolo
della mente, mi ripeto che dovrei farla finita con certi esperimenti pesanti:
alla mia età, cosa mi vado a mettere a imparare nuove ricette thailandesi
estive, e per cena poi! Ma erano buoni. E mi sono davvero divertito a
scivolare sotto il buco della siepe, prima, con la mia zappetta di campeggio
recuperata dallo sgabuzzino dei ricordi di gioventù...
«Papà, e dài, vieni fuori, lo so che sei qua attorno.»
Vengo fuori. Cioè, comincio lentamente a raddrizzarmi appoggiandomi al
nano di gesso che ho liberato con destrezza dal giardino del nuovo marito
della mia ex moglie, un cafone leghista pieno di velleità da prendi tre-paghi-due,
e sarebbe pure pieno di soldi, l'industrialotto celta, che a averli io
saprei come usarli con stile, tutti, ma è chiaro che il confronto non
potrebbe mai porsi, perché sul mio stipendio da professore di scuole medie
le tasse non le evado, io... oddio la schiena! su, con cautela, con molta
cautela... Suppongo che anche Lisa si possa definire un ricordo di gioventù.
O quasi: quando mi sono arreso all'idea di generarla rasentavo i trent'anni...
be', i trentacinque, ok. Adesso lei ne ha sedici. E quella sciagurata
di sua madre dice che se me la lasciasse vedere di più finirei per corromperla.
Io! Ho perso un pomeriggio intero a scrivere lo stupido volantino didattico
che adesso la mia bambina si diverte a sventolarmi in faccia, bisbigliando:
«Papà, sei tutto scemo. Se invece di uscire io usciva qualcun altro, che
facevi? e che vuol dire qui, "noi del piccolo popolo ci battriamo
per un'ecologia estetica", eh?»
«Era 'ci battiamo': un errore di battuta, appunto» le bisbiglio in risposta,
«e comunque in giardino a quest'ora ci esci sempre solo tu.»
«Ci mettiamo a spiare, adesso? Sempre, quando?»
«Da tre giorni», confesso rimettendo il nanetto al suo posto. «E non ti
sto spiando, è solo che l'altroieri passavo di qua e, be', avevi una faccina...
malinconicamente romantica, ecco. Qualcosa che non va con il tuo filarino?»
«Perché non ti fai mai gli affaracci tuoi?» dice mia figlia, e sembra
quasi arrabbiata sul serio, ma poi, visto che litigare bisbigliando è
praticamente impossibile e se non bisbigliamo quelli là nella casa ci
sentono, finiamo per sederci fianco a fianco sull'erbetta bagnata. Quadro
idilliaco di padre e figlia in armonia su praticello all'inglese brianzolo.
Perfettamente silenziosi. D'altra parte, se Lisa mi dicesse che, tipo,
il suo ragazzo è un drogato sieropositivo con due teste e senza laurea,
io potrei solo sorridere e cercare di convincerla che, forse, non sarebbe
la scelta più sensata. Meno male che, invece, lei è tutta casa e scuola
(istituto tecnico per l'organizzazione aziendale, pazienza), ed è precisa,
obbediente, rispettosa delle regole e... Sconvolto dal pensiero che stavo
per aggiungere «banale», alzo la testa, vedo il gran tocco di Luna che
ci pende sopra e mi metto a parlare a vanvera.
«Lo sai che io c'ero? Il 20 luglio 1969. L'Apollo 11. Quando Buzz Aldrin
stava lì nel modulo di sbarco Eagle e il comandante Armstrong ha fatto
la sua camminata sulla Luna, con quella bella frase retorica, "un
piccolo passo per un uomo, ma un salto da gigante per l'umanità",
avresti dovuto vedere che tempi, anche da noi in provincia, in quello
schifo di provincia immobilista, che poi un paio d'anni dopo sono venuto
su a insegnare al Nord, sembrava proprio che si sarebbe riusciti a cambiare
tutto, assolutamente tutto, e, sai, anche quel primo passo al di fuori
del nostro vecchio mondo era, be', a modo suo, una rivoluzione. Perciò
ci commuoveva vedere un uomo, solo, goffo, chiuso nella sua tuta protettiva
da milioni di dollari come in un'armatura da cavaliere errante, saltellare
lassù... Che sto dicendo? Lisa, erano in due: perché dopo Neil Armstrong
scese anche Buzz, e anche se nelle foto le facce non si vedono perché
i caschi riflettono la luce, quello vicino alla bandiera americana piantata
nella Luna è proprio lui, e, hai presente quell'orma umana stampata nella
polvere lunare? Io preferisco la fotografia di Armstrong sulla scaletta,
è più documentaria, ma l'orma è diventata l'immagine più forte, più simbolica,
perché non ha importanza se è l'impronta del primo o del secondo...»
Nessuno si ricorda mai che sull'Apollo 11 c'era un terzo uomo, ma io sì.
Si chiamava Michael Collins, era il pilota della navicella-madre Columbia,
è rimasto per tutto il tempo in orbita: alla Luna ha potuto soltanto girarci
attorno, lui, come io ho girato attorno alla vita... Ma questo a Lisa
non lo posso dire.
«Fantastica, quella lunghissima notte insonne davanti alla televisione
aspettando il collegamento con Houston» le dico invece, «che Ruggero Orlando
e quell'altro, come si chiamava, Tito Stagno! dallo studio di Roma, non
riuscivano a mettersi d'accordo, "ha toccato", "non ha
toccato", "ti dico che ha toccato!", e be', è stato importante
per la storia del nostro secolo: a mandare la fantasia al potere non ci
siamo riusciti, ma a spedire un paio di americani sulla Luna sì...»
«Ma non ci sono mica andati davvero», dice Lisa.
«Che?»
«Una simulazione, no? Come Auschwitz. Non c'è niente di vero. Hanno fatto
lo stesso anche per quel presunto sbarco sulla Luna. Tu e quegli altri
babbei davanti alla televisione ve la siete bevuta, la faccenda degli
astronauti, e invece quelli stavano in uno studio televisivo da qualche
parte in America. Lo dice il marito di mamma, lui lo sa, ha trovato in
edicola una videocassetta che spiega tutto.»
Sarò rimasto a bocca aperta troppo a lungo, perché Lisa ha assunto un'espressione
preoccupata e poi mi ha bisbigliato gentilmente: «Domani gliela frego
e te la presto, sì?»
Non potevo non farlo. Esercitando su me stesso una violenza estrema, andando
contro le mie convinzioni più profonde, con la morte nel cuore e con un
rombo di motori a razzo nel cervello, le ho mollato uno schiaffo. E ho
cominciato a urlare a squarciagola: «La vedremo! Domani vado dall'avvocato!
Ricorro al tribunale dei minori! Qui è tutto da rifare! Criminali! Nazisti!
L'educazione di mia figlia spetta a me!»
Stavolta, no. Stavolta, non mi arrendo. No pasarán. Ho ceduto su tutto,
sempre di più, negli anni ho dato via come se fosse niente il mio ruolo
politico di maschio, il mio ruolo sociale di docente progressista di scuola
media, le mie vecchie speranze, la dignità. Ma adesso, mentre la villa
dell'evasore esplode all'improvviso di luci trasformandosi nell'astronave
di Independence Day, grido il mio «basta» e non mi tiro indietro: io,
a quelli lì, la Luna non gliela voglio dare. Un altro olocausto, no.
Racconto pubblicato sul Corriere della Sera,
Lunedì 17 Agosto 1998
Incluso nell'e-book "Racconti
dal Web" (2001)
Tutti i diritti riservati
Ascolta la lettura di questo racconto
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