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Donna, tecnologia, qualità della vita Fiera Milano - 23 ottobre 1998 Intervento di Carmen Covito BENVENUTE IN UN SITO ROMANZESCO Se la letteratura vuole ancora avere una funzione conoscitiva, se non vuole ridursi a pura forma di evasione e di intrattenimento ma vuol essere di nuovo, com'era ai vecchi tempi, un mezzo privilegiato di interpretazione del mondo in cui viviamo, oggi non può più fare a meno di contaminarsi con tutti gli altri media. In altre parole, chi scrive romanzi non dovrebbe ignorare i cambiamenti della società, della lingua, della tecnologia. Ma il processo è a doppio senso: se da una parte il mondo contemporaneo entra nell'opera letteraria come materia per un'elaborazione creativa, all'autore dell'opera oggi si offre la nuova possibilità di entrare in quanto "personaggio" nel sistema dei media; e a me piace pensare che non utilizzerà i mezzi di comunicazione soltanto per promuovere la vendita dei suoi libri, ma anche e soprattutto per esercitare quella capacità critica che dovrebbe essere la caratteristica fondante di ogni intellettuale. Uno scrittore, e a maggior ragione una scrittrice, può agire come un virus che contamina il sistema dei media per far passare qualche messaggio sovversivo. A quanto pare, io mi sto specializzando nella demolizione degli stereotipi di genere, che le donne stesse hanno interiorizzato fino a credersi, per esempio, incapaci di usare un computer. Due mie esperienze recenti, strettamente intersecate, si prestano a smentire tali luoghi comuni sulla femminilità, perché entrambe riguardano le nuove tecnologie: si tratta di un romanzo e del sito Web (http://www.carmencovito.it ) che ho costruito progettandolo come un "sito romanzesco". Nel romanzo intitolato "Benvenuti in questo ambiente" (Bompiani, 1997) uno dei personaggi centrali è Sandrina Digrosso, una ragazza che è un'abilissima informatica, progetta e realizza sistemi esperti, si diverte a programmare intelligenze artificiali e a soli ventitré anni possiede e dirige una piccola ma efficiente rete di aziende produttrici di software gestionale. Ci si potrebbe chiedere se, nel quadro dell'Italia di oggi, un simile personaggio sia del tutto fantastico, ma la domanda giusta è un'altra: questo personaggio è improbabile? Io credo di no. Sandrina rappresenta ciò che moltissime ragazze italiane potrebbero con tutta probabilità diventare, se la nostra struttura sociale e bancaria non continuasse a coltivare il pregiudizio di genere per cui una donna con interessi tecno-scientifici non è attendibile né come donna né come imprenditore. Per poter esistere nella realtà, le Sandrine hanno solo bisogno di credito. Nel frattempo, mi piace rivendicare il merito di averne fatta esistere una nella letteratura. La vera protagonista del romanzo, però, è un'altra donna: la misteriosa "Dama del computer" che si presenta sullo schermo come un agente intelligente dotato di "un senso dell'umorismo standard" e fornito di un corpo virtuale simile a un avatar. Naturalmente, non intendo tradire i miei potenziali lettori svelando qui se la Dama sia poi davvero un chatter-bot capace di superare tutti i test di Turing oppure se nel corso della vicenda si dimostri essere qualcosa di un po' più inquietante... Vorrei solo chiarire che non sono una scrittrice di fantascienza: l'ambiente del titolo è l'ambiente in cui viviamo oggi, il mondo occidentale del capitalismo post-industriale, con tutte le sue contraddizioni, con la sua mescolanza di costrutti mentali vecchi e strumenti tecnologici nuovi. Ed è proprio per sottolineare quanto le nuove tecnologie siano già penetrate nella nostra vita quotidiana che ho giocato con il doppio senso del termine "ambiente" congegnando la struttura del libro a somiglianza di un ambiente operativo a "finestre". Sono le finestre che si aprono sulla nostra struttura mentale, che è già fatta di ritmi frammentati, improvvise aperture su settori di esperienza nuovi, chiusure su un flash-back, riaperture su un'altra prospettiva. Può sembrare strano che io, donna di cinquant'anni quasi compiuti e scrittrice di romanzi che non appartengono al settore "underground", mi occupi di argomenti collegati alle tecnologie informatiche e alle trasformazioni dell'identità che la telematica sta cominciando a operare in noi. Ma non è affatto strano: proprio il mio femminismo di cinquantenne che non ha nessuna intenzione di arrendersi alla crisi delle utopie, ma che si è sempre rifiutata di considerarsi una parte separata e "specifica" del mondo, mi porta a vedere con moltissimo interesse la possibilità di spezzare le sbarre della differenza di genere utilizzando gli strumenti dell'elettronica. Come la teorica del cyberfemminismo Donna Haraway, anch'io "preferisco essere cyborg che essere dea", perché esaltare il cosiddetto "specifico femminile", che a mio parere è semplicemente una costruzione culturale, significa cadere ancora una volta nella trappola della disuguaglianza e rinchiudersi nella ristrettezza della "sensibilità" e della "natura" assegnate chissà perché alle sole donne, mentre gli uomini si terrebbero, ancora una volta, tutto il potere della cultura. Volete correre con i lupi e farvi prendere nella solita trappola culturale? Fate pure: io preferisco starmene seduta comoda davanti a un buon PC. Nonostante la mia formazione umanistica e la mia lamentevole ignoranza in campo matematico, non ho alcuna difficoltà a considerare il computer come una parte del mio stesso corpo, una protesi non più complicata dei miei occhiali: soltanto più potente. Per poter "ripensare l'umano" a vantaggio di tutti, è necessario che le donne superino la diffidenza per la tecnologia, che non è affatto "naturale" ma è socialmente indotta. Come dichiarano la Haraway e Rosi Braidotti, per non diventare dei robot vittime del dominio dell'informatica bisogna "rinnovare il linguaggio della lotta politica, allontanandosi dalla tattica dell'opposizione frontale per favorire invece una strategia più specifica e diffusa, basata su ironia, attacchi obliqui, coalizioni basate sulle affinità" tra soggetti tenuti socialmente al margine della corrente del potere; proprio perché adesso il potere non funziona più normalizzando le differenze come pensava Foucault, ma agisce attraverso connessioni multiple e reti di comunicazione ampiamente basate sulle nuove tecnologie. Le donne sono ancora soggetti socialmente marginali, e in quanto tali sono abbastanza "eccentriche" da poter dare un contributo originale e creativo alla costituzione di ciò che Derrick De Kerkhove definisce "intelligenza connettiva". L'approdo a Internet è, quindi, non solo necessario ma inevitabile: in altri termini, noi donne saremmo veramente stupide se ci lasciassimo sfuggire questa occasione storica per ficcare le mani nel mondo costruito dagli uomini e cominciare a smanettare qua e là fino a cambiare le condizioni alle quali si gioca la partita. Intanto, può capitarci di segnare qualche gol. Il sito Web che ho costruito per presentare le mie opere letterarie e aprire una comunicazione diretta con i lettori ha avuto un successo che è andato ben al di là delle mie previsioni. Non credo che sia servito a vendere molte più copie di "Benvenuti in questo ambiente", ma mi ha messo in contatto con una gran quantità di persone che altrimenti non avrei raggiunto, e inoltre mi ha portato riconoscimenti di qualità. Il fatto che sia stato selezionato dal premio Cult98 come uno dei dieci migliori siti culturali italiani mi ha piacevolmente sorpresa, dato che il mio è un sito che non ha alle spalle nessuna organizzazione, è completamente autogestito da sole due persone, e queste due persone sono per giunta due umanisti (l'ho realizzato insieme a un giovane laureando in filosofia). Ma il risultato più interessante, e proprio quello che volevo ottenere, è stato precisamente lo sfondamento della tradizionale barriera che in Italia contrappone la cultura umanistica e la cultura tecno-scientifica: attraverso il sito, molte riviste dedicate alla rete telematica o specializzate in cybercultura hanno finito per recensire il romanzo. E , per inciso, quasi tutte queste recensioni sono infinitamente più acute di quelle che ho avuto dai critici letterari tradizionali. La progettazione del sito, devo spudoratamente confessarlo, per me è stata un gran divertimento. Ho messo una cura speciale nel costruire le pagine che contengono collegamenti esterni, fondamentali nella logica della rete. La pagina che ho chiamato "Utilità per Libromani e Cyberfemministe" è un po' seriosa: una delle sezioni offre approfondimenti su alcuni dei temi affrontati nel romanzo, rimandando direttamente alle mie fonti di documentazione, dalle teorie di Sherry Turkle e di Sandy Stone sulle trasformazioni dell'identità fino allo stato degli studi sugli agenti intelligenti e sulla vita artificiale; altre sezioni sono di "servizio sociale" e offrono link a organizzazioni delle donne e ad associazioni di solidarietà; poi ci sono puntatori che a me sono sembrati interessanti sulla letteratura italiana in rete, sui dizionari eccetera. Invece, con la pagina intitolata "Sei personaggi in cerca di siti" fornisco uno strumento giocoso e scherzoso per dare a ogni personaggio del mio romanzo uno o più siti adatti al suo carattere o, volendo, per indovinare da quei siti il carattere del personaggio e il suo ruolo nel romanzo. I lettori che si sono divertiti con il gergo telematico usato da questi personaggi, e in particolare il gentile recensore che ha notato "i puntuali riferimenti ai trucchi e alle esperienze della Grande Ragnatela" scrivendo che il romanzo "sembra tagliato su misura per i navigatori di Internet", saranno molto sorpresi se adesso gli rivelo che la mia presenza in rete è stata una conseguenza, e non l'origine, di tutto il lavoro di documentazione che avevo svolto per scrivere il romanzo. Ma non c'è nulla di sorprendente. Mi ero documentata esclusivamente off-line, leggendo libri, giornali e riviste e consultando cd-rom, perché come molte donne soffrivo anch'io di diffidenza verso il mezzo: temevo che collegandomi in rete avrei perso tempo e concentrazione. Ma quando poi l'ho fatto mi sono accorta subito che la maniera più produttiva per imparare a usare le potenzialità di Internet era precisamente "perdere tempo", cioè gironzolare esplorando zone apparentemente lontane dai miei interessi, seguendo i link che mi incuriosivano, mettendo il naso in forum e canali di chat . Ho capito cioè che, per fare una cosa seria, dovevo prima imparare a giocare. Ecco il nodo che le donne devono spezzare, soprattutto quelle della mia generazione: mentre gli uomini hanno sempre saputo che la curiosità è creativa e che un gioco apparentemente inutile finisce per dare svolte impreviste alla conoscenza del reale producendo invenzioni, noi siamo state abituate a considerare la vita con troppa serietà, a sentirci in colpa se ci divertiamo. Questo atteggiamento si perpetua anche nei modi di utilizzo di Internet da parte delle donne, a quanto vedo dalle indagini che sono state fatte anche in Italia: la ricerca di Infoperla dice che, in media, le donne cercano contatti e informazioni utili al proprio lavoro, si servono molto della posta elettronica, e in cambio frequentano poco le zone di discussione e di divertimento. Non credo affatto che questo dipenda da una presunta "differenza di genere nei modi della comunicazione", per cui uomini e donne avrebbero un linguaggio diverso e interessi diversi, e per cui bisognerebbe studiare modi di "informazione al femminile". Non ci credo per due motivi: prima di tutto perché io potrò anche essere un cyborg convinto che la salvezza futura dell'umanità è nel raggiungimento di una condizione no-gender, ma rimango biologicamente di sesso femminile, e poi perché, nelle mie passeggiate attraverso il Web e in altre zone di Internet, ho notato che dove ci sono ragazze giovani il linguaggio e i modi di interazione non sono diversi da quelli dei ragazzi di pari età: nelle zone di dialogo si avverte, eventualmente, quella timidezza che prenderebbe chiunque si trovasse in una situazione di netta minoranza, mentre nello sviluppo di siti Web le già numerose Webmistress mostrano la tranquilla sicurezza che viene dal possesso di una competenza (ed esibiscono spesso una bella originalità). Ne deduco che per facilitare l'accesso delle donne italiane a Internet è sufficiente aumentare la visibilità di quelle già presenti. Più siamo, e più saremo. E quando la maggioranza saprà che questo ambiente non è riservato ai maschi e che per operarvi non è necessario avere alcuna specifica "vocazione" tecno-scientifica, anche la paura di "perdere tempo" uscirà dalla nostra mentalità e cominceremo tutte a divertirci, produttivamente.
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